8 SETTEMBRE: LA GRANDE MADRE DI TUTTE
LE FURBIZIE
ALLE RADICI DEL MALE L'antifascismo e
la riduzione dell'Italia a colonia americana
F. G. Fantauzzi
Il numero 2/98 della rivista
"Nuova Storia Contemporanea" ospita un'interessante ricerca di
Salvatore Sechi riguardante la situazione Italiana al momento dell'approvazione
della Carta costituzionale e della ratifica del Diktat.
Tale indagine è di
fondamentale interesse storico per due ordini di motivi:
a) perché si giova
di documenti «inediti o poco noti» presenti negli archivi dell'ambasciata
americana, in quelli di Washington e di Suitland;
b) perché svela i retroscena
politici e diplomatici del periodo più torbido della vita politica
italiana del dopoguerra.
Punto di partenza dell'Autore
è il viaggio che De Gasperi fece negli USA (5-20 gennaio '47) su
invito del governo Truman. La prima missione del leader democristiano ebbe
luogo all'interno di una situazione politica delicatissima che presentava:
* gli USA che, a causa della
ulteriore temuta avanzata delle sinistre e delle destre, paventavano una
perdita d'influenza in Italia;
* il Vaticano e gli ambienti
economici e industriali che riponevano grandi speranze in quel viaggi e
lo consideravano come un battello di salvataggio per la DC la quale,, avendo
registrato notevoli perdite di consenso nelle elezioni amministrative del
novembre precedente,, metteva a rischio l'opzione occidentale dell'Italia;
* Nenni e Togliatti, spiazzati
per non aver intuito il «valore di legittimazione implicito nell'invito»
di Truman a De Gasperi e perché vedevano in quel viaggio una sorta
di rinnegamento di una improbabile «tacita intesa» diretta
a tenere l'Italia in una posizione di equidistanza e di neutralità
nei confronti dello schieramento bipolare che si andava delineando in campo
mondiale; intesa però mai effettivamente raggiunta tra le fazioni
antifasciste.
Frutto dell'immaginazione
o delle personali speranze di Giorgio Amendola (cfr. "Gli anni della
Repubblica", Roma 1976), tale intesa si rivelerà un clamoroso
malinteso, poiché, in realtà, per carenza di autentica passione
civile, di senso dello Stato e di concreta comunanza di idealità
e di obiettivi, fra le formazioni politiche emerse dalla sconfitta, non
vi fu mai un effettivo accordo programmatico, come con una buona dose di
ipocrisia sembra ritenere Amendola.
L'indagine, a mio avviso,
prosegue senza tener nel dovuto conto dei patti di Yalta, dell'immutato
atteggiamento duro e intransigente degli alleati nei nostri confronti,
dell'enorme prestigio del dollaro e dei risultati dell'accorto lavorio
diplomatico precedentemente svolto dagli incaricati d'affari statunitensi
(il Vaticano non aveva ancora riconosciuto ufficialmente gli USA) presso
gli ambienti curiali e in quelli economici e industriali italiani.
Comunque sia, proprio durante
quella trasferta, si verificò una serie di avvenimenti destinati
a favorire il disegno politico concordato fra gli USA, il Vaticano e la
DC, consistente nel preparare le occasioni per allontanare le sinistre
dall'area di governo, una volta approvata la costituzione e ratificato
il Diktat.
Saragat si dimise da presidente
la Costituente, realizzò la scissione di Palazzo Barberini e fondò
il Partito socialista dei lavoratori italiani (ma venne subito accertato
che nessuno dei fondatori aveva mai lavorato un solo giorno); Nenni si
dimise da ministro degli esteri e ritirò la delegazione del PSIUP
dal governo e la delegazione del PRI fece altrettanto.
Tali fortunosi eventi, per
altro, risultarono essere particolarmente graditi a Washington, dove i
repubblicani avevano da poco raggiunto la maggioranza nel Congresso.
Tornato In Italia, De Gasperi
annunciò le dimissioni del governo. Le conseguenze politiche del
viaggio si palesarono molto vantaggiose per la DC. Secondo G. Amendola
(op.cit.) queste furono determinanti all'instaurazione «di quell'ingerenza
americana nella vita del paese che fu consacrata, due anni dopo, con la
firma del patto atlantico». Nel corso della defatigante formazione
del nuovo governo, ebbero luogo lunghe e pretestuose polemiche nel corso
delle quali tutti gli esponenti dell'antifascismo si comportarono come
se fossero privi di quel minimo di senso della realtà che è
a fondamento di ogni riflessione; agirono cioè come se non conoscessero
il contenuto dell'armistizio (corto) di Cassibile, di quello (lungo) del
29-9-43 e del «promemoria d'accordo» sottoscritto a Caserta
il 7-12-44 dal Comandante supremo miliare alleato e dal CLNAI (Parri, Pajetta,
Sogno e Pizzoni), nei quali viene imperativamente sancita la sola volontà
degli alleati.
Chi legge quei documenti con
attenzione rimane sconcertato non tanto dalle ovvie prevaricazioni del
nemico, quanto dal meschino sotterfugio e dalla mala coscienza di chi,
nel tradurre il testo in italiano, ne stravolge persino il significato,
come nel caso: «Il comando supremo militare alleato esige ...»
viene tradotto con: «Il Comando supremo desidera ...».
È davvero arduo sondare
la levatura morale e intellettuale degli uomini che sottoscrissero trattati
così in contrasto con gli interessi permanenti del proprio popolo.
Non si trattò, infatti soltanto di mancanza di coscienza etica,
del senso della realtà o di mero autolesionismo, bensì di
vera e propria libidine di servilismo.
Gli italiani stavano vivendo
il periodo del loro massimo disorientamento. Tutto era caduto e ora franava
irrimediabilmente anche la mal riposta illusione resistenzialista fondata
sulla speranza di un trattamento di favore che, invece, veniva sprezzantemente
negato. Un periodo tristissimo nel quale s'era smarrito il rapporto di
tutti e di ciascuno con la verità, la quale ha sempre significativi
riflessi pratici. Non per nulla Tommaso aveva insegnato che: «La
verità nel creato si trova in due realtà, nelle cose e nell'intelletto»
(cfr. "De Veritate", 1, 6).
Dall'analisi del Sechi in
ordine alla formazione del nuovo governo, emerge uno spaccato della situazione
italiana che dimostra l'elevatissimo tasso di controllo esercitato dalle
autorità diplomatico-militari di occupazione, il quale si estendeva
sino alla minuta indagine personale sulle pregresse attività dei
ministri e dei sottosegretari, nonché sugli atti del governo. Paradigmatico
al riguardo è il caso Moscatelli-Moranino, più volte contestati,
non graditi e poi riammessi con incarichi diversi, ecc.
Data l'impossibilità
di formare un governo monocolore DC, a seguito di lunghe ed estenuanti
trattative, ripensamenti, sospetti e negati gradimenti degli alleati di
un rilevante numero di candidati, De Gasperi riuscì finalmente a
varare il suo terzo governo il quale, mentre subiva dagli alleati pesanti
umiliazioni, maldestramente tentava di far credere loro che gli Italiani
erano stati succubi per 20 anni del fascismo e di una monarchia antidemocratica
e imperialista e che, per ciò stesso, meritavano migliore considerazione.
Tale governo raggiunse inusitati apici di sprovvedutezza e di sfrontatezza
quando tentò di far valere le proprie opinioni in occasione della
formulazione del trattato di pace con la Germania e quando avanzò
pretese rivendicative sulle colonie ormai perdute per sempre. Tutto sommato,
un governo che non riusciva capacitarsi che: «L'Italia non era un
alleato e neppure... un cobelligerante; era soltanto un paese sconfitto
a cui erano state accordate alcune concessioni, nell'ultima fase della
guerra, per ragioni di convenienza politica, strategica...» (cfr.
S. Romano, "Cinquant'anni di storia mondiale", Milano, 1977).
Dall'esposizione del fatti,
prende forma con grande chiarezza l'inutilità del tradimento del
settembre '43, della cobelligeranza e della resistenza. Come opportunamente
notarono i migliori commentatori del tempo, sarebbe stato più onorevole,
e forse anche più vantaggioso, non accettare la resa incondizionata
e continuare a combattere fino in fondo una guerra da noi stessi dichiarata.
La Chiesa, che veniva definita
dall'ambasciatore americano Dunn come: «... la principale forza di
stabilizzazione del paese (...)», e la DC intanto si apprestavano
a realizzare un governo composto di forze politiche moderate, attraverso
la cui strumentalizzazione, poi escluderanno dall'area governativa i socialisti
per 15 anni e i comunisti per oltre 40. Gli USA, nella convinzione che
un'ulteriore avanzata elettorale comunista in Italia avrebbe inciso negativamente
sui rapporti con l'URSS, avrebbe destabilizzato l'area del Mediterraneo
con particolare riferimento ai disegni egemonici su Grecia e Turchia, mentre
non facevano mancare all'Italia qualche assistenza economica elargita col
contagocce, esasperavano le attività di controllo sugli atti del
governo e su quelli amministrativi.
Oltre alle facilitazioni economiche,
gli USA restituirono all'Italia le navi mercantili e i beni italiani esistenti
in America a suo tempo confiscati e, al fine di assicurare l'ordine pubblico
e un minimo di capacità di difesa quando gli alleati se ne sarebbero
andati, fornirono alle FF. AA. italiane armi, munizioni e mezzi obsoleti.
Il Sechi, inoltre, lascia
intravedere come poi si perverrà al 18 aprile '48, alla maggioranza
relativa della DC ed ai successivi innumerevoli governi monocolore, di
centro, di centrodestra e di centrosinistra, in una temperie etica e politica
di totale sudditanza e acquiescenza agli USA. L'intera indagine risulta
essere snellita dai fardelli propri delle trattazioni politico-diplomatiche,
ma, nonostante l'acutezza dei rilievi e la scorrevolezza dell'esposizione,
palesa tuttavia una riluttanza e quasi un freno ad ammettere dati storici
essenziali: l'inconsistenza degli orizzonti ideali e politici degli uomini
di governo italiani e la servilità rispetto allo straniero dimostrata
a piene mani dall'antifascismo nel suo complesso, nonché la estrema
eterogeneità e incomunicabilità esistente fra le varie componenti
politiche del tempo. Tale atteggiamento vagamente reverenziale, derivante
dal surrettizio alone di rispetto e di quasi sacralità con il quale
è stata circonfusa la resistenza, a mia avviso, nuoce alquanto all'efficacia
dell'intera trattazione.
L'Italia, che i comunisti
avrebbero voluta vassalla dell'URSS, diviene con la benedizione vaticana,
una colonia americana e il PCI continuerà per decenni a lamentare
e a fingere di non accettare: «... l'intervento diretto nella politica
interna del nostro paese, la richiesta cioè, che il governo italiano
sia composto in un modo piuttosto che nell'altro, che questo o quell'altro
partito siano esclusi dalla sua composizione» (cfr. "Rinascita",
n° 7, maggio 1947).
Torniamo alla verità.
Quando diciamo che la tal
persona è stata un vero magistrato, o un vero soldato, o un vero
sacerdote, o una vera madre, intendiamo semplicemente riconoscere che quel
che essa ha detto e fatto corrisponde a ciò che è vero, in
quanto è realmente accaduto e in quanto, nei sentimenti come nella
condotta, essa ha inverato quell'alto grado di umana verità che
vorremmo poter riscontrare in ogni madre, in ogni soldato, ecc. E questo
perché la verità non può che essere vista in rapporto
con la realtà oggettiva. «Ens et verum convertuntur»,
disse Aristotele 350 anni prima di Cristo; talché dire «essere»
(tutti gli esseri in quanto intelligibili) è come dire «vero»,
in un'unica realtà essendo convertibili i due termini.
Estrapoliamo ora dall'indagine
in esame un elemento di qualche interesse e vediamo quel che contiene di
vero. Nel corso delle polemiche che contraddistinsero la formazione del
terzo governo De Gasperi, Pietro Nenni, tentando di chiarire il carattere
d'emergenza che avrebbe dovuto distinguere il nuovo governo, bontà
sua, inserì fra i provvedimenti straordinari da assumere, la revisione
della legge sull'amnistia, in quanto, come riferisce il Sechi «in
sede di applicazione ha favorito i fascisti».
Nulla di più falso.
Ma anche nulla di più logico in un sistema di potere fondato sulla
falsità e sull'inganno.
Francamente, un Togliatti
che prepara e che fa approvare un'amnistia destinata a favorire i fascisti
non è in alcun modo credibile; anzi deve essere precisato una volta
per tutte che questa è una delle tante menzogne rispolverate ultimamente
da certo dolciastro buonismo orientato a conseguire non proprio disinteressati
traguardi. Eppure, nella pubblicistica ufficiale, quella dell'«atto
di umana clemenza» di Togliatti per i fascisti è accreditata
come una verità rivelata.
Togliatti, invece, fu costretto
a varare il noto provvedimento legislativo e a tale scopo si propiziò
il parere favorevole di De Gasperi, il quale era al corrente del fatto
che (i cappellani, per la loro stessa missione, nelle carceri sanno tutto
di tutti), una volta liberi, i fascisti e le loro famiglie avrebbero votato
DC in funzione anticomunista. Ministro della giustizia, Togliatti non poteva
non sapere che il numero dei partigiani reclusi era superiore a quello
dei fascisti; e non poteva non temere che, per discolparsi in sede di dibattimento,
i partigiani medesimi avrebbero chiamato in causa gran parte dei dirigenti
del PCI i quali, nel corso della resistenza, avevano praticato e predicato
la non distinzione fra i c.d. atti di guerra e la rapina a mano armata.
Il partigiano Franco F. Napoli
(cfr. "Villa Wolkonski", ed. Europa, Como, 1996) sostiene che
nel '46 i fascisti in carcere erano quarantamila, dopo l'amnistia ne rimasero
seimila, nel '48 erano quattromila e, dopo il '56 nessun fascista era più
in carcere. Per contro, i partigiani (per i quali in realtà era
stata fatta l'amnistia), dopo il 18 aprile '48 salirono a quarantacinquemila
e, nel '56, erano circa ottantamila. Va osservato al riguardo che, dall'aprile
'48, si era tornati alla legalità e, quindi, si veniva processati
prevalentemente su denuncia di parte.
Uno degli aspetti che maggiormente
dovrebbe far riflettere è che tale legittimo procedimento non riguardò
se non in maniera irrilevante i fascisti i quali, nella quasi totalità,
non erano stati denunciati prima nè vennero denunziati dopo l'amnistia.
Perché tutto ciò? È storicamente accertato, altresì,
che un buon numero di partigiani dovette espatriare clandestinamente ed
altri si fecero eleggere in parlamento per non essere processati.
Lo storico non ne fa esplicita
menzione, tuttavia dalla sua esposizione si staglia netta la conclusione
che l'antifascismo (allora come ora) non rappresentava in alcun modo la
coscienza unitaria del popolo italiano.
Chiuso il periodo delle carcerazioni
facili dei fascisti e, restituita l'amministrazione della giustizia alla
rnagistratura ordinaria, vennero celebrati i grandi processi a Graziani,
Ricci, Pisenti, Borghese, ecc. Ebbene, se in virtù dell'antifascismo
gli Italiani da colonizzatori non fossero assurti al «rango»
di colonizzati, rammenterebbero che il Ministro della difesa della R.S.I.,
quello di Grazia e Giustizia, il Comandante della Guardia Nazionale Repubblicana
e quello della Decima Flottiglia MAS furono rimessi in libertà non
appena lette le rispettive sentenze, le quali recano tutte motivazioni
analoghe a quella riguardante il Maresciallo Graziani: «Agì
per alti motivi nazionali e morali». Siffatta motivazione accomuna,
ovviamente, tutti i combattenti della R.S.I.
Molto scalpore fece il caso
di Ferruccio Parri, medaglia d'oro per meriti partigiani e ex-presidente
del Consiglio, il quale, nel maggio del '53, venne attaccato da "Il
Meridiano d'Italia" mediante la pubblicazione delle «Prove clamorose
del doppio gioco di "Maurizio"». Ne seguì un processo;
il Parri però, vista la mala parata dibattimentale, sebbene i misfatti
sarebbero stati compiuti a Milano e in altri luoghi del Settentrione, fece
trasferire il processo a Roma.
E non se ne seppe più
nulla. (cfr. Renato CARLI Ballola, "1953, processo Parri", ed.
Ceschina, Milano 1954).
Perché E. Parri non
persistette nella tutela della sua onorabilità? Il senatore F. M.
Servello, che è vivo e vegeto, ne sa qualcosa.
Ad opera di studiosi appassionati
e rigorosi e, anche per gli inattesi contributi di ex-partigiani, che già
negli anni 1943-45 erano stati emarginati, misconosciuti o vilmente traditi
dai compagni di lotta perché non condividevano o apertamente avversavano
la linea politica di totale asservimento dell'Italia agli stranieri, (linea
concordata fra PCI-PSI-DC in combutta con gli ambienti monarchici e con
il placet dl Stalin e del regnante pontefice), molte verità stanno
venendo in luce.
Leggendo le opere di questi
partigiani ribelli alla «volgata» resistenziale, si ha la netta
sensazione che molte loro idee, prospettive e istanze sociali e politiche
-al di là della diversa individuazione del nemico di allora- possano
essere largamente condivise anche nel campo avverso.
È vero: nelle umane
vicende le situazioni subiscono mutamenti, il tempo passa, gli uomini cambiano
e poiché si ha ragione di credere che vi sia uno «splendore
della verità», è da augurarsi che i due contrapposti
schieramenti possano un giorno convergere almeno nell'amara riflessione
del Col. Moscardò che, dinanzi al martirio del suo ragazzo e del
cruento destino che attendeva le sue truppe, esclamò: «Meglio
il cimitero che il letamaio».
La scienza storica, sia pure
con esasperante lentezza, comincia a dare buoni frutti e a radicare negli
animi la preziosa esigenza della verità come cultura, come modo
degno di vita. Si avvicina il tempo in cui forse non si parlerà
più di partigiani e di «repubblichini» in termini di
faziosa contrapposizione, bensì nel senso di consolidamento di verità
vere che, nel bene e nel male, ci riguardano tutti.
Solo allora gli Italiani vivranno
di vita propria.
E, solo allora, l'Italia non
sarà più una colonia.
AURORA N. 49. Giugno 1998 (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)